Aggiornato a novembre 2025

Economia

L'effetto dei dazi sulle esportazioni del territorio

14-11-2025

Da inizio anno a oggi, l’evoluzione dei dazi statunitensi nei confronti dell’Unione Europea ha attraversato fasi alterne, tra forte tensione e parziale stabilizzazione, alimentando un clima di estrema incertezza per l’operatività delle imprese. L’intesa tra le due parti, entrata in vigore il 1° settembre, ha fissato un tetto massimo del 15% per la maggior parte delle merci europee esportate oltre oceano, prevedendo alcune esenzioni per settori strategici come aeromobili e farmaci generici e un dazio del 50% sul comparto dei metalli (acciaio, alluminio, rame e derivati).

A rischio esportazioni per 900 milioni di euro a Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia

Considerando quanto previsto nell’accordo estivo (senza considerare gli annunci successivi di dazi al 100% per i prodotti farmaceutici branded e al 107% per la pasta), il Centro Studi di Assolombarda stima nel breve periodo una perdita potenziale di esportazioni relativamente contenuta, ma con il rischio di aumentare in modo consistente nel lungo termine. Tradotto in numeri, nell’orizzonte di un anno il calo di export per le imprese di Milano, Lodi, Monza Brianza e Pavia si attesterebbe a circa 900 milioni di euro, equivalenti a una diminuzione delle vendite verso il mercato americano dell’11,7% (rispetto ai 7,7 miliardi di euro esportati nel 2024) e a una flessione annua dell’export complessivo dell’1,1%.

Nel dettaglio dei settori, dei 900 milioni di euro di export stimati a rischio, la maggior parte si concentra in farmaceutica (-142 milioni di euro), moda (-137), meccanica (-121), chimica (-105), metalli (-101) e apparecchi elettrici (-97). Considerando, poi, l’esposizione al mercato statunitense dei comparti manifatturieri dei territori in esame, la flessione indotta dai dazi peserebbe maggiormente su farmaceutica e apparecchi elettrici (con un calo di export totale dell’1,6% in entrambi i casi), metalli (-1,4%) e moda (-1,2%).

Scomponendo per territori, l’impatto è atteso essere più elevato per le imprese di Milano, con un calo annuo di oltre 720 milioni di euro di fatturato estero (-1,2% di export totale) e di Monza Brianza, con una discesa di 150 milioni di euro (-1,0%). La flessione delle vendite totali verso i mercati internazionali è, invece, più contenuta a Lodi (-10 milioni di euro, -0,1% di export totale) e Pavia (-15 milioni di euro, -0,3%), dove l’export è meno dipendente dal mercato nordamericano.

Se si valuta l’effetto su un periodo di 7-10 anni, ipotizzando che i dazi oggi in vigore siano permanenti e che l’apprezzamento medio dell’euro resti in linea con quello sinora osservato, l’impatto sui territori del Quadrilatero quasi triplicherebbe, salendo a 2,3 miliardi di euro, equivalenti al 29,4% in meno di export verso gli USA e al 2,9% in meno nelle vendite complessive. Pur considerando la maggiore incertezza di stime a così lungo raggio, è evidente che gli impatti risultano potenzialmente ben più rilevanti. Nell’orizzonte più ampio c’è, infatti, una maggiore possibilità che gli importatori americani rimodulino le proprie catene di fornitura, diversificando con geografie più competitive in termini di prezzo, o addirittura che internalizzino la produzione di ciò che ora acquistano dall’estero.

Sulle stime incidono le differenze settoriali e il dazio 'implicito' dell'apprezzamento euro/dollaro

Queste valutazioni si basano su tre elementi principali. Il primo è l’elevata differenziazione degli aumenti tariffari per settori e prodotti: l’incremento più pronunciato riguarda inevitabilmente i metalli (+40 punti percentuali rispetto alla situazione precedente la seconda amministrazione Trump), mentre i rialzi appaiono più moderati per materie tessili e calzature (tra i +4 e i + 5 punti percentuali), dal momento che su questi prodotti esistevano già dei dazi superiori (in media) al 10%. 

Il secondo fattore considerato è l’elasticità della domanda da parte delle imprese e dei consumatori americani all’aumento delle tariffe, ossia quanto varia l’import negli USA a seguito di costi più alti delle merci in arrivo. In media, l’elasticità stimata dell’import USA-Italia è di 0,75 nel breve termine, ossia un aumento del 10% delle tariffe determina una diminuzione della domanda del 7,5%, meno che proporzionale. Anche in questo caso, appaiono differenze significative tra settori e nel tempo, con i prodotti tessili che presentano una delle elasticità più elevate e i macchinari, invece, inferiore all’unità nell’orizzonte a breve. 

Il terzo elemento analizzato è l’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro (+11,9% tra gennaio e ottobre 2025), che rende gli esportatori europei meno competitivi sui mercati internazionali e agisce come ‘dazio implicito’, di fatto innalzando il costo delle loro merci per gli importatori americani. Questo rafforzamento valutario, avvenuto in gran parte dopo l’insediamento della seconda amministrazione Trump, rimane evidente ma appare meno pronunciato se si considera la variazione nei tassi di cambio tra la media del 2024 e la media del 2025 (fino a settembre): in questo caso, l’apprezzamento è pari al 3,4%.

In questo contesto complesso e mutevole, diventa quindi cruciale per le imprese locali (e nazionali) continuare a investire in innovazione e qualità, fattori chiave per consolidare e rafforzare la propria posizione strategica nelle catene globali del valore. Altresì, occorre diversificare i mercati di destinazione, per ridurre le dipendenze da singole aree e per cogliere le opportunità emergenti dalla riconfigurazione della geografia economica globale.

grafico dazi
 
 
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