La pausa imposta dalla pandemia alle vendite all’estero ha comportato per Milano una perdita di competitività pur in un quadro di commercio mondiale in forte arretramento nell’anno? Oppure l’offerta milanese all’estero ha tenuto rispetto alla domanda internazionale? Purtroppo, Milano nel 2020 si è rivelata debole rispetto al mercato: nel 2020 le vendite estere (-12,5%) sono nel complesso più ridotte della domanda totale globale (che è scesa del -10,0%) e soprattutto del ‘potenziale’ (la cui caduta si ferma al -9,1%). La diminuzione più profonda dell’export che della domanda mondiale e soprattutto del potenziale, ossia con il pieno mantenimento delle quote di export pre-pandemia, non scalfisce però nel complesso il posizionamento di Milano, che rimane a quota 0,3% dell’export globale. Questo risultato suggerisce l’esistenza di territori che hanno ‘mancato’ la domanda internazionale più di quanto non abbia fatto Milano.
In questo quadro come si qualificano i singoli settori? Partiamo dal top performer 2020, la farmaceutica. Il comparto si allinea alla domanda mondiale, ma si allontana di circa 3 punti percentuali dal potenziale, un gap ragionevolmente legato alla specializzazione milanese in beni non sempre coincidenti con i consumi in periodo Covid-19.
Particolarmente competitiva è la chimica, il cui contenuto calo del -3,4% si confronta con una domanda mondiale e un potenziale in flessione più marcata e intorno al -5%. Invece, sottoperformano il proprio potenziale apparecchi elettrici, alimentare, elettronica e gomma-plastica registrano, con distanze tra i 2 e i 3 punti percentuali.
Tra i settori più penalizzati nel 2020, i macchinari si collocano quasi 6 punti percentuali oltre la perdita potenziale. Non sorprende tuttavia che i divari maggiori siano registrati dal design e dalla moda (circa 10 punti sotto, penalizzati dalla specializzazione nel lusso, segmento di consumo frenato dalla pandemia) e dall’automotive (quasi 15 punti).