Aggiornato a maggio 2022

Smart Working

La transizione dal lavoro a distanza imposto dall’emergenza allo smart working strutturato

23-05-2022

A Milano il lavoro da remoto era una modalità organizzativa molto diffusa già prima della pandemia e che l’emergenza ha incrementato sensibilmente. Come si stanno organizzando le imprese per il dopo? Quali fattori incidono sulle strategie pianificate?

A due anni dall’inizio della pandemia, a Milano 8 aziende su 10 usano lo smart working

Secondo una nostra recente rilevazione che ha coinvolto più di 250 imprese milanesi del manifatturiero e dei servizi avanzati, oltre 8 realtà su 10 nel primo trimestre 2022 hanno almeno un dipendente in smart working, per un numero di dipendenti coinvolti pari al 22% del totale. 

La percentuale risulta più elevata tra le imprese dei servizi (91%, a fronte del 79% rilevato nell’industria) e nel comune (90%, rispetto al 78% rilevato nell’hinterland). 

A due anni dall’inizio della pandemia la diffusione del lavoro da remoto (in forma strutturale o per esigenze legate all’emergenza) è sensibilmente superiore al passato: tra le imprese rispondenti solo 3 su 10 ricorrevano al lavoro agile nel 2019. Anche la quota di smartworker è maggiore: secondo una nostra precedente rilevazione (leggi qui l'articolo) nel periodo pre-Covid la percentuale di lavoratori era del 15%.

Al netto di chi non si esprime, il 63% di queste imprese milanesi prevede di attivare lo smart working in maniera strutturale nel futuro, una percentuale in linea con il 65% di aziende che nell’autunno 2020 prevedeva l’utilizzo del lavoro da remoto anche nel post-pandemia.

La percentuale di aziende milanesi con dipendenti in smart working è pari all’83% nel primo trimestre 2022, ben al di sopra del 33% del pre-Covid

83%
22%

La quota di smart worker è pari al 22% nel primo trimestre 2022, superiore al 15% del pre-Covid

Dall’emergenza all’introduzione strutturale dello smart working in azienda

Al momento lo smart working d’emergenza è prorogato fino al 31 agosto 2022. Come si stanno organizzando le imprese per il dopo?

Tra le aziende intervistate, sono un centinaio ad aver già introdotto lo smart working in modo strutturale (qui si considera non solo la città metropolitana, ma anche l’“area milanese” allargata di Assolombarda). All’interno di queste realtà la quota di smart worker raggiunge il 27%, con punte del 43% nei servizi rispetto al 17% dell’industria: una quota di lavoratori quindi superiore non solo al 15% pre-Covid, ma anche al 22% dei primi mesi del 2022 (che in parte include ancora la modalità di emergenza).

Le strategie di chi ha adottato lo ‘smart working 2.0’

Nelle aziende che hanno introdotto strutturalmente il lavoro da remoto, la compatibilità delle mansioni è quasi sempre la condizione di accesso prioritaria a tale modalità organizzativa (96%), seguita dall’adeguatezza della connessione (62% delle aziende). Meno rilevante è l’appartenenza ad aree aziendali predeterminate (42%), segno di una crescente consapevolezza che la possibilità di lavoro da remoto è legata al lavoro specifico più che alla collocazione funzionale. Infine, 1 azienda su 4 vincola la possibilità di smart working alla frequenza di un corso di formazione mirato.

L’attenzione alla formazione, in particolare a quella per la sicurezza (al di là di quella obbligatoria) e a quella dedicata ai manager, emerge anche con riferimento agli investimenti necessari: solo il 19% delle aziende non ne prevede in questi ambiti. Tra gli investimenti “fisici”, la quasi totalità delle imprese (81%) segnala la necessità di pc portatili, mentre investimenti sullo smartphone aziendale sono circoscritti al 38% delle aziende. Rilevante appare invece l’attenzione alla sicurezza informatica: in ben 4 aziende su 10 gli investimenti fisici sono concentrati su strumenti di protezione. Riorganizzazione di spazi e potenziamento di infrastrutture ICT hanno, poi, coinvolto circa il 30% delle aziende.

Le aziende che segnalano la necessità di cambiamenti nella gestione delle risorse connessi allo smart working sono solo il 40%, una quota sorprendentemente contenuta considerando l’impatto che tale organizzazione del lavoro comporta: in 1 azienda ogni 3 è stato introdotto un sistema di valutazione basato sul raggiungimento di obiettivi, ma solo l’1% ha adottato parametri specifici di produttività per chi lavora a distanza.

Infine, è opportuno rimarcare le opportunità ma anche i rischi connessi allo smart working. 

Avendo concesso una sola possibilità di scelta, quasi la metà delle aziende che ha collaborato all’iniziativa ha guardato alla ricaduta positiva per i propri collaboratori (conciliazione vita-lavoro 31%, fidelizzazione e attrattività aziendale 17%), mentre il fattore economico è quello principale per meno di un quarto delle aziende (orientamento al risultato 13%, miglioramento delle performance 6%, ottimizzazione dei costi per l’utilizzo degli spazi 4%), mentre il rimanente 28% non ha fornito indicazioni.

Dal lato del principale rischio, il più citato è l’impatto sull’interazione delle persone, sommando la minor comunicazione (29%) e il minor contributo all’innovazione (15%), mentre il possibile conflitto tra dipendenti eligibili e non raccoglie ormai un numero esiguo di segnalazioni (4%). 

 
 
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